L’inchiesta che ha portato all’arresto di 99 persone, la maggior parte operante nel quartiere Libertà di Bari, se da una parte è segno che la giustizia è viva ed opera grazie al lavoro di magistrati e forze nell’ordine, dall’altra mi indigna molto.

Mi riferisco alla presenza di giovanissimi, arrestati nell’operazione “vortice maestrale”, che testimonia la capacità di attrazione del male. L’appartenenza mafiosa diventa per molti ragazzi una straordinaria occasione di riscatto esistenziale e sociale. Giovani pronti a scalare le gerarchie del clan affermandosi “indubbiamente come singolari modelli criminali (pur giovanissimi)”, così scrive il magistrato negli atti di indagine.

Giovanissimi che a loro volta diventano cattivi maestri, in una parabola al rovescio del sogno raccontato da don Bosco: ove i lupi diventavano agnelli eppoi pastori di altri giovani.

Basta questa evocazione per cogliere tutta l’indignazione, il dolore e la sofferenza nel vedere nostri giovani in preda alla criminalità organizzata. Nostri perché vivono il nostro quartiere, la nostra Città, il nostro Sud.

Allora bisogna farsi delle domande e provare insieme a dare risposte concrete.

La molla dell’affermazione di sé, è una molla potente perché nasconde il desiderio che ognuno ha dentro di sé: quello di realizzare il proprio sogno. La questione nasce quando il sogno di un giovane, anche di un solo giovane, non trova altre possibilità di affermazione e di protagonismo se non scalando la gerarchia del clan organizzato, potente, spietato che riconosce i gesti criminali compiuti.

Ed è esattamente qui, che non si può che essere d’accordo con Giuseppe Gatti, sostituto procuratore DNA e cresciuto nei percorsi educativi di don Bosco al Redentore: “la repressione è soltanto il primo passo: è giunto il momento che tutti insieme riempiamo gli spazi sottratti dall’egemonia mafiosa, curando fragilità e vulnerabilità sociali, offrendo un modello di vita fondato sui valori della libertà, uguaglianza e solidarietà, che sono il più importante patrimonio educativo della nostra stupenda Carta costituzionale”.

La sola repressione non basta bisogna investire nella prevenzione educativa dei ragazzi. Bisogna essere capaci di dare opportunità concrete ai tutti i ragazzi, nessuno escluso, garantendo opportunità e possibilità per tutti. “Il problema non è la mafia – scrive don Luigi Ciotti – intesa come organizzazione criminale quanto la mafiosità, il mare dentro cui nuota il pesce mafioso”. È una questione culturale. Se non diamo ai ragazzi un mare pulito, li diamo in pasto ai clan.

Questo non può essere tollerato in una società civile che ha il dovere di tutelare, proteggere, promuovere i più piccoli.

Ed allora c’è bisogno di un sogno, di una visione più forte al Libertà. Un sogno che permetta ai “lupi di diventare agnelli”, e perché no, pastori: modelli positivi.

Questa sfida culturale sarà possibile se riusciamo a compiere insieme tre passi:

  1. Più scuola e formazione. Potenziare le scuole del Libertà rendendole maggiormente attrattive e soprattutto rendere pubblica la partecipazione e l’iscrizione dei ragazzi ai Centri di Formazione Professionale. Bisogna dire basta nel rendere subordinata a progetti, la formazione professionale per i ragazzi in obbligo formativo in possesso di licenza media. L’iscrizione delle famiglie dei ragazzi alla formazione professionale deve essere libera e pubblica. Questi ragazzi hanno l’intelligenza del fare, bisogna riconoscerla e promuoverla. Sono i meccanici, gli elettricisti, i cuochi del domani… Più scuola e più formazione, toglie i ragazzi dalla strada ed abbatte il degrado, concime per le mafie.
  2. Potenziare le strutture ed i centri educativi. Se vogliamo combattere le mafie, bisogna abbattere le diseguaglianze. I progetti educativi, lo sport, lo spazio studio sono le armi più opportune per annientare l’ignoranza e l’esclusione, base delle mafie.
  3. Legare formazione professionale ed imprese. Oltre ad educare e formare, bisogna riuscire a coinvolgere le imprese del territorio nell’investire nella formazione dei giovani, nell’apprendistato con la possibilità di dare concretezza al lavoro giovanile. Aiutare questi ragazzi ad inserirsi nel modo del lavoro, è la più grande sconfitta per la criminalità organizzata ed è la più grande vittoria dello Stato.

Questi tre passi vanno fatti insieme, come noi e non come singolo, come comunità nella quale ci sono persone, enti, associazioni, Stato. È solo l’inizio di un cammino che la comunità cittadina deve compiere insieme, senza dividersi, senza ricercare spasmodicamente il consenso, senza paura.

È un forte invito perché si possa avere la coscienza pulita e la testa dritta sapendo di aver fatto tutto il possibile perché nessuno dei nostri giovani si perda.

 

Don Francesco Preite

Direttore Istituto salesiano Redentore Bari

 

Francesco Preite in “La Repubblica – edizione Bari” del 29/04/21, p. 7 – clicca qui